Filadelfia, uno scheletro sumero scoperto in cantina

Di solito, gli scheletri si nascondono negli armadi. Quello rintracciato da un ricercatore americano se ne stava invece zitto zitto in cantina. Non una qualsiasi, ma quella del Penn Museum di Filadelfia. Quei resti, antichi di 6.500 anni, erano lì da quasi un secolo, dimenticati da tutti. Eppure potrebbero raccontare una storia molto interessante.

LO SCHELETRO RITROVATO NELLO SCANTINATO DEL PENN MUSEUM

LO SCHELETRO RITROVATO NELLO SCANTINATO DEL PENN MUSEUM

Le ossa vennero infatti scoperte ad Ur, uno dei primi insediamenti della bassa Mesopotamia, vicino alla foce di Tigri ed Eufrate. I primi reperti risalgono al V-IV millennio a.C., ma la città sumera raggiunse il suo massimo splendore verso il 2500 a.C., quando superò forse i 60 mila abitanti. In quest’area, tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, Sir Leonard Woolley trovò più di 1800 sepolture, appartenenti ad epoche diverse e a diverse classi sociali.

Fu proprio l’archeologo britannico a riportare alla luce quel corpo. Lo scoprì in una pianura alluvionale, circa 15 metri al di sotto del sito di Ur, insieme ad altre 47 tombe datate al cosiddetto Periodo di Ubaid ( tra il 5500 e il 4500 a.C.). Woolley decise di estrarre uno solo di quei corpi. Per preservarlo, lo inglobò- con tutto il limo che lo circondava- in uno strato di cera, lo mise dentro una cassa di legno e lo spedì negli Stati Uniti.

I reperti trovati durante quella campagna di scavi ebbero infatti destini diversi: circa la metà rimase in patria- nell’ odierno Iraq– mentre il resto venne diviso tra il British Museum di Londra e appunto il Penn Museum in Pennsylvania. La cassa contenente quei resti umani arrivò a destinazione, ma poi- per motivi non noti- nessuno l’aprì o se ne interessò per circa 85 anni– insomma, fino ad oggi.

A rendersi conto che mancava uno degli oggetti elencati nella lista dell’epoca è stato William Hafford, incaricato di digitalizzare tutti i reperti in possesso del museo di Filadelfia. Una prima ricerca nell’archivio informatico aveva rivelato che lo scheletro era stato registrato come non reperibile già nel 1990.

IL TESCHIO DI "NOE", ANTICO DI 6500 ANNI

IL TESCHIO DI “NOE”, ANTICO DI 6500 ANNI

Hafford ha così indagato su tutti i reperti lasciati da Sir Woolley, ha recuperato qualche informazione in più su quelle misteriose ossa e ha persino rintracciato le fotografie che le ritraevano. Nessun dubbio, dunque, che quel corpo antico di migliaia di anni esistesse davvero. Poi, il colpo di fortuna: Janet Monge, antropologa presso il museo, si è ricordata di una scatola di legno vista nello scantinato. Era proprio l’ultima dimora dello scheletro scomparso.

Secondo un primo esame, quei resti appartengono ad un uomo, morto sui 50 anni e piuttosto alto per l’epoca ( 173/178 centimetri). Ha avuto un soprannome curioso: lo hanno chiamato Noè, perché secondo gli archeologi quell’area alluvionale nella quale era sepolto sarebbe stata prodotta da un’inondazione che potrebbe aver ispirato il mito del Diluvio Universale.

Con le tecniche ora a disposizione, sarà possibile stabilirne le cause della morte, le malattie di cui soffriva, di cosa si alimentava, a quale ceppo etnico apparteneva e anche molto probabilmente esaminarne il DNA . Tutte informazioni che invece potremmo non sapere mai su un altro scheletro dalla sorte molto simile e dal passato illustre. Anch’esso recuperato durante gli scavi della spedizione di Woolley del secolo scorso, anch’esso trovato ad Ur, anch’esso poi rinchiuso in una cassa e lasciato nei magazzini di un museo- questa volta a Londra.

L'ELABORATO COPRICAPO D'ORO DELLA REGINA PUABI

L’ELABORATO COPRICAPO D’ORO DELLA REGINA PUABI

Parliamo dei resti di Nin Puabi, la regina trovata in una tomba all’interno del Cimitero Reale risalente alla prima Dinastia. Il corredo funebre era magnifico: il corpo indossava un complesso copricapo d’oro- formato da foglie, fiori, bande ed anelli- oltre a varie collane e bracciali in lapislazzuli e corniola. Accanto alla regina, una lira, due teste di toro, vasellame da tavola, un carro finemente lavorato, con una profusione di metalli preziosi- oro ed argento– e pietre dure.

Ma a rendere davvero impressionante quella sepoltura, la presenza di altri 52 corpi: quasi sicuramente ancelle , guardie del corpo e schiavi uccisi per accompagnare nell’ultimo viaggio la loro signora. Come si comprende bene, una scoperta di enorme valore storico ed artistico, forse paragonabile solo a quella della tomba di Tutankhamon in Egitto. Tuttavia, mentre gioielli e suppellettili sono stati messi in mostra, il corpo della regina Puabi ha avuto un’altra sorte.

Di lei si sa solo che morì a circa 40 anni, ma per ora su di lei non c’è stata una ricerca approfondita, per appurare ad esempio chi fosse veramente quella donna tanto potente, come avesse vissuto, come fosse morta- curiosità legittime, spesso soddisfatte per tanti altri personaggi del passato per i quali si sono utilizzate tutte le più moderne strumentazioni mediche e scientifiche.

Non per lei, però, chiusa nella sua cassetta, lontano dagli occhi del pubblico. Forse a tenere a debita distanza da quelle ossa i ricercatori più affermati sono state le rivendicazioni di Zecharia Sitchin. Nel suo ultimo libro, “Quando i giganti abitavano la Terra”, il discusso scrittore aveva proprio indicato Puabi ( in virtù dell’appellativo Nin, riservato alle divinità) come una possibile discendente degli Anunnaki.

LO SCHELETRO DELLA REGINA PUABI

LO SCHELETRO DELLA REGINA PUABI

Insomma, una di quegli esseri superiori che popolano le leggende sumere, ma che- a suo avviso- in realtà erano alieni arrivati dal pianeta Nibiru. Sitchin chiedeva che sui resti di Nin Puabi si facesse un esame genetico, per appurare- una volta per tutte- se la sua teoria avesse o meno un fondamento. Il suo appello è caduto nel vuoto e la regina attende ancora che un’equipe di ricercatori accademici richieda le sue ossa per effettuare un test del DNA forse rivelatore.

SABRINA PIERAGOSTINI

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