La ricerca della vita aliena: uno, nessuno, 100 mila…

La vita è là fuori, ovunque, nel cosmo attorno a noi. O magari invece no: è rara, rarissima e per questo potremmo non trovarla mai. Sono le due posizioni opposte- una estremamente ottimista, l’altra molto pessimista-  di chi scruta l’universo alla ricerca delle cosiddette “biofirme”- le tracce che dimostrano la presenza di attività biologica (e quindi, di forme viventi)  su mondi alieni. Ora uno studio tutto italiano ha preso in esame cosa comporterebbe tanto la scoperta quanto la non presenza di tali biofirme sui pianeti a poche decine di anni luce da noi.

LA VITA È DIFFUSA OVUNQUE O È UNA RARITÀ?

NELLA GALASSIA, LA VITA È DIFFUSA OVUNQUE O È UNA RARITÀ?

L’analisi statistica è stata condotta da Amedeo Balbi, dell’Università Tor Vergata di Roma, e Claudio Grimaldi, dell’École Polytechnique di Losanna. I due astrofisici- spiegano nell’articolo pubblicato da PNAS (Proceedings of National Academy of Science)- sono arrivati alla conclusione che un singolo rilevamento di firme biologiche nelle vicinanze del nostro sistema stellare influenzerebbe in modo significativo la nostra convinzione in merito alla frequenza della vita nell’universo, anche per coloro che partono da una posizione neutrale o pessimista. Anzi, un osservatore inizialmente agnostico sarebbe portato a pensare che ci sono più di 105 pianeti abitati nella galassia con una probabilità superiore al 95%. Ma statisticamente, quel solo rilevamento potrebbe portare fino al numero record di oltre 100 mila mondi abitati nella sola Via Lattea.

Al contrario, secondo i due ricercatori italiani, non scoprire alcuna traccia di attività biologica non provocherebbe alcun effetto: non smentirebbe insomma le ipotesi più rosee e ottimistiche. Perché? Perché il numero di pianeti extraterrestri analizzato è talmente piccolo e circoscritto alle vicinanze del sistema solare da non essere significativo: qualche migliaio di mondi alieni senza forme di vita su milioni di miliardi di pianeti ancora da scoprire non sono un campione attendibile. La valutazione di una presenza abbondante della vita nella galassia rimarrebbe indeterminata e ognuno- ottimista e pessimista- manterrebbe la propria opinione. Senza contare poi il fatto che per i due ricercatori le biofirme costituiscono un buon indizio, ma non una prova definitiva.

LA PRESENZA DI DETERMINATI GAS O COMPOSTI CHIMICI PUÒ INDICARE LA PRESENZA DI VITA

LA PRESENZA DI DETERMINATI GAS O COMPOSTI CHIMICI PUÒ INDICARE L’ESISTENZA DI FORME DI VITA

Un concetto che Amedeo Balbi ha ulteriormente spiegato in una lunga intervista al quotidiano La Repubblica. A far entusiasmare gli astrobiologi- dice- potrebbe essere, ad esempio,  la presenza simultanea di metano e ossigeno, che reagiscono in tempi rapidi. «Se li osservassimo a lungo, dovremmo ipotizzare qualcosa che li continua a produrre. Per esempio la vita. Ma onestamente, non c’è qualcosa che ti possa convincere al cento per cento. La vita è un processo, dovresti osservare su tempi sufficientemente lunghi per convincerti che quello è un elemento di disequilibrio dovuto a processi biologici». Proprio come, adesso, è complicato stabilire se il metano individuato su Marte sia di origine organica oppure di natura geologica.

Sul Pianeta Rosso stanno scommettendo tutte le agenzie spaziali: da lì, probabilmente dal suo sottosuolo, potrebbe arrivare la prova che la vita è esistita-o esiste– al di fuori della Terra.  Ma la ricerca dei due astrofisici italiani dimostra anche che, prendendo in esame un’altra variabile- la panspermia– il quadro complessivo può cambiare radicalmente: «Se la vita fosse apparsa su Marte e un meteorite l’avesse trasportata sulla Terra, avrei un solo luogo in cui è nata. La nostra analisi statistica ne sarebbe influenzata e la conclusione si indebolirebbe. In una zona della galassia ci potrebbe essere un cluster di pianeti parenti che si scambiano la vita. E il resto potrebbe essere disabitato», ha detto Balbi.

LA COMUNITÀ SICENTIFICA HA GRANDI ASPETTATIVE DA MARTE

LA COMUNITÀ SCIENTIFICA HA GRANDI ASPETTATIVE SU MARTE

Certo è che le aspettative, tra gli astrobiologi, sono grandi. E i tempi si stringono: nel 2015, l’allora scienziato-capo della NASA Ellen Stofan  si diceva certa che avremmo trovato stringenti indicazioni della presenza di vita extraterrestre entro 10 anni e prove assolute nel giro di 20 o 30. Dunque, se le sue previsioni erano esatte, dal 2025 in poi gli sforzi scientifici dovrebbero andare buon fine. Non solo quelli legati alle biofirme, al centro attualmente dei programmi della NASA (il James Webb Space Telescope di prossima realizzazione va proprio in quella direzione), ma anche per quanto riguarda la ricerca di tecnofirme, ovvero segni che dimostrino la presenza di una civiltà avanzata, come sarebbero dei segnali laser oppure radio inviati nello spazio o la presenza di manufatti costruiti artificialmente. Ma su questo punto, Amedeo Balbi sembra molto scettico.

«Forse non siamo soli, ma siamo isolati», ha dichiarato al quotidiano. Anche se sapessimo dell’esistenza di una civiltà avanzata nella nostra galassia, sarebbero troppi i luoghi in cui cercarla e ci vorrebbe troppo tempo. Inoltre, un eventuale messaggio inviato da ET, per essere captato, dovrebbe entrare in una  finestra temporale molto ristretta: se fosse arrivato 1000 o anche solo 100 anni fa, nessuno avrebbe potuto accorgersene. Ma anche se fosse spedito oggi, dovrebbe arrivare nel preciso istante in cui un radiotelescopio è puntato proprio in quel punto esatto dell’enorme volta celeste. Per questo, Balbi si dice ottimista sul fatto che da qualche parte esista la vita extraterrestre- intesa in forma microscopica- ma piuttosto pessimista per quanto riguarda specie intelligenti. «Credo improbabile non solo che troveremo evidenze di altre civiltà intelligenti, ma che possano essercene in assoluto, almeno nella nostra galassia», la sua conclusione.

CIVILTÀ ALIENE INTELLIGENTI: TRA GLI ASTROFISICI C'È SCETTICISMO

CIVILTÀ ALIENE INTELLIGENTI: TRA GLI ASTROFISICI C’È SCETTICISMO

L’esatto opposto di quanto percepito dal pensiero comune. Un recente sondaggio, citato da un articolo della rivista Rolling Stone sulla cultura-pop legata agli UFO,  sostiene che circa il 33% degli americani è convinto che gli Alieni abbiano già visitato la Terra, il 17% ritiene di aver visto un UFO (suppergiù, significa 56 milioni di persone soltanto negli Stati Uniti) e il 60% crede che il Governo stia nascondendo la verità sull’argomento. Gli sviluppi recenti- dalle ammissioni del Pentagono sui tre video ripresi dalla US Navy, fino alla richiesta di informazioni in merito avanzata dalla Commissione Intelligence del Senato e all’annuncio di una task force per studiare il fenomeno- di sicuro hanno influenzato l’opinione pubblica. Ma la convinzione che ci siano creature aliene in grado non solo di comunicare, ma anche di interagire con noi,  è diffusa da tempo.

Forme viventi magari talmente lontane dal nostro concetto di vita da non essere riconosciute o da sfuggire alle nostre analisi. Potrebbero non respirare ossigeno o non respirare affatto. Non produrre nè anidride carbonica, nè metano. Non mangiare il nostro cibo o non averne per niente bisogno. Non essere neppure composte da elementi organici. Potrebbero essere Intelligenze Artificiali, dei robot superavanzati, come hanno ipotizzato scienziati del calibro di Seth Shostak, astronomo senior del progetto SETI, l’astrobiologo Paul Davies o l’astronomo di Sua Maesta, Sir Martin Rees. O magari potrebbero essere pura energia, puro pensiero privo di corpo o avere aspetti ancora più bizzarri e assurdi. Proprio come ha detto la chimica ed ex astronauta britannica Helen Sharman,  «Gli Alieni saranno come te e me, fatti di carbonio e azoto? Magari no. È possibile che siano proprio qui, ora, tra di noi e semplicemente non riusciamo a vederli».

 

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