Un team va alla ricerca delle Sfere di Dyson e delle civiltà spaziali

Può essere ovunque, attorno a noi. Nella Via Lattea, dove splendono tra i 100 e i 400 miliardi di stelle – a seconda delle stime- i pianeti potenzialmente abitabili sarebbero migliaia di milioni. E non solo potrebbero essere popolati da batteri o da forme biologiche elementari, ma- chissà?-  forse anche da creature evolute. Almeno, lo pensano tutti gli astrobiologi che da anni stanno cercando il modo di confermare- o smentire- questa loro convinzione evidenziando tracce di attività sia biologica che tecnologica. E lo pensa anche una squadra di studiosi che vuole scoprire la presenza di strutture super avanzate per dimostrare l’esistenza di civiltà dello spazio.

NELLA VIA LATTEA POTREBBERO ESISTERE MOLTWE CIVILTÀ AVANZATE

NELLA VIA LATTEA POTREBBERO ESISTERE MOLTE CIVILTÀ AVANZATE

Il team è formato da tre ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Uppsala (in Svezia) e dal noto astrobiologo della Penn State University James Wright. Insieme hanno prodotto uno studio, presentato la scorsa estate al convegno annuale dell’Astronomical Society e poi pubblicato online sulla rivista ESSOAR (Earth and Space Science Open Archive) dal titolo “Alla ricerca delle sfere di Dyson tramite GAIA e WISE”. Le sfere di Dyson sono ipotetiche mega strutture aliene che civiltà molto sviluppate potrebbero aver costruito per raccogliere l’energia della loro stella ospite. Il primo a teorizzarle è stato il fisico e matematico Freeman Dyson nel 1959.

Nell’articolo, Dyson spiegava che le sfere (che hanno poi preso il suo nome) erano una soluzione ai crescenti bisogni energetici di una civiltà aliena iper avanzata e potevano anche rivelarsi un metodo perfetto per individuarne l’esistenza. Avvolgendo una stella ospite con un enorme guscio fatto di pannelli solari oppure utilizzando uno sciame di collettori più piccoli, si potrebbe infatti sfruttare tutte le lunghezze d’onda della luce visibile di un astro ma nello stesso tempo verrebbe prodotta come “scarto” una radiazione infrarossa. Per questo, lo scienziato britannico naturalizzato americano suggeriva che il SETI, oltre che sulle onde radio, si doveva concentrare anche sulle emissioni di luce nello spettro degli infrarossi. Un’idea raccolta e approfondita da questa ultima ricerca.

UNA MEGA STRUTTURA IPOTETICA COSTRUITA ATTORNO A UNA STELLA

UNA MEGA STRUTTURA IPOTETICA COSTRUITA ATTORNO A UNA STELLA

Leggiamo infatti nel riassunto iniziale dell’articolo:«Come in ogni processo termodinamico, la conversione dell’energia stellare comporterebbe l’emissione di calore di scarto che verrebbe emesso sotto forma di radiazione infrarossa. Se immaginiamo una sfera di Dyson come uno sciame di satelliti più piccoli che raccolgono l’energia dalla stella ospite, sembra plausibile l’esistenza di un’ampia famiglia di sfere di Dyson con diversi fattori di copertura. Allo stesso tempo, queste sfere di Dyson parziali bloccherebbero parte della luce stellare che li ospita, portando a una diminuzione dei flussi luminosi. Al giorno d’oggi, contiamo su missioni che hanno mappato il cielo nell’ottico e nel medio infrarosso, in particolare GAIA e WISE. Entrambi insieme forniscono misurazioni di magnitudine per circa 10^7 – 10^8 stelle nella galassia e possono recuperare le due tracce sopra menzionate.»

IL TELESCOPIO SPAZIALE AGLI INFRAROSSI WISE

IL TELESCOPIO SPAZIALE AGLI INFRAROSSI WISE

«Un progetto complicato, ma non impossibile», ha detto Matias Suazo al sito The Inverse (un giornale online incentrato su scienza e tecnologia), dal momento che adesso- rispetto al secolo scorso-  disponiamo di strumentazioni in grado di rilevare quelle particolari radiazioni. Una di esse è GAIA, il telescopio spaziale lanciato dall’ESA nel 2013, e l’altra è WISE, l’omologo creato della NASA: entrambi studiano la Via Lattea nel campo dell’infrarosso. Per individuare una potenziale sfera di Dyson, più probabilmente costituita da una molteplicità di satelliti-collettori, il punto di partenza è conoscere le proprietà della stella: se una struttura blocca la sua luce, la luminosità diminuirà e nello stesso tempo verrà emessa radiazione nella lunghezza d’onda degli infrarossi con una temperatura compresa tra i 100 e i 600 gradi Kelvin.

COSÌ POTREBBERO APPARIRE DEI SATELLITI-COLLETTORI

COSÌ POTREBBERO APPARIRE I SATELLITI-COLLETTORI DI UNA CIVILTÀ ALIENA

Nello studio, l’equipe americana-svedese ipotizza quattro diverse tipologie di strutture: la Sfere di Dyson Fredde, ovvero quelle con stelle aventi una temperature inferiore ai 200 Kelvin; le Sfere Intermedie, con temperature tra i 100 e i 600; i Casi Perfetti, con temperature così elevate da essere facilmente individuate; le Sfere Trasparenti, quelle al contrario meno riconoscibili perché formate da pochi pannelli solari. «Lo scenario trasparente comporterebbe che il progetto è appena all’inizio, ovvero si verificherebbe quando la civiltà ha assemblato solo le prime strutture. Ovviamente, non potremmo vederle, ci sembrerebbe una stella normale perché non ricaveremmo da essa alcun segnale”, ha spiegato Suazo. Ora non resta che partire con l’osservazione diretta, dopo aver selezionato le stelle più adatte, per analizzarle e rilevare alterazioni significative.

UNA STELLA SU 10MILA POTREBBE ESSERE AVVOLTA DA UNA SFERA DI DYSON

CIRCA UNA STELLA SU 10 MILA POTREBBE ESSERE AVVOLTA DA UNA SFERA DI DYSON

«Se sono ricoperte da molti pannelli solari e hanno una temperatura di almeno 200 gradi Kelvin, sì, possiamo individuare le sfere», assicura il dottorando di Uppsala. Per cominciare, l’equipe utilizzerà il Nord Optical Telescope, posizionato alle Isole Canarie, focalizzandosi su 5 astri considerati candidati ideali. Ma poi il lavoro andrà esteso: si calcola infatti che quasi 1 stella su 10mila potrebbe essere avvolta da una sfera di Dyson. Ma non bisogna avere fretta: anche se lo studio fosse esatto, i risultati non arriveranno presto. Eppure ne vale la pena, dice Suazo. Non solo perché scoprire l’esistenza di una civiltà spaziale tecnologica cambierebbe il senso della nostra esistenza nell’universo, ma anche perché potrebbe aiutarci a sfruttare al meglio il nostro Sole. Ad oggi, infatti, la Terra riceve solo un miliardesimo dell’energia solare. Ma ancora una volta, armiamoci di pazienza: la civiltà umana impiegherà ancora uno o due secoli prima di sviluppare la tecnologia in grado di costruire una sfera di Dyson.

Condividi su:
Facebook Twitter Email

I commenti sono chiusi.