Ma siamo davvero pronti a incontrare ET?

Li cerchiamo da decenni e sempre più studiosi sono convinti che li troveremo presto. Gli Alieni- tanto nella forma essenziale di semplici organismi microscopici quanto nella forma più evoluta di esseri intelligenti se non addirittura tecnologici- stuzzicano la fantasia e l’interesse di astrobiologi, fisici teorici, linguisti e persino teologi. Ma la prospettiva di incontrare un giorno creature di altri mondi solleva interrogativi inquietanti: come potremmo comunicare con loro? La scoperta della vita extraterrestre provocherebbe più entusiasmo o più terrore nell’opinione pubblica mondiale? Rischieremmo una contaminazione di virus o di malattie sconosciute?Come reagirebbero i sistemi religiosi- e con essi miliardi di fedeli- di fronte alla certezza che non siamo soli nell’Universo?

CERCHIAMO LA VITA INTELLIGENTE NELLO SPAZIO, MA SIAMO PRONTI ALLE CONSEGUENZE?

CERCHIAMO LA VITA INTELLIGENTE NELLO SPAZIO, MA SIAMO PRONTI ALLE CONSEGUENZE?

Domande alle quali tenta di dare risposta un articolo pubblicato dal sito online Phys.org, a partire da una semplice considerazione: il contatto con eventuali civiltà dello spazio potrebbe avvenire in qualsiasi momento, dato che i nostri radiotelescopi da oltre 50 anni sono puntati in modalità ascolto di messaggi in arrivo dal cosmo (per ora senza grandi risultati, in verità). A nostra volta, abbiamo spedito tra le stelle continue prove della nostra esistenza nella speranza che qualcuno sia in grado di intercettarle, come le placche posizionate sulle sonde Voyager ormai giunte oltre i confini del sistema solare oppure i segnali radio inviati in direzione di mondi lontani, come quello verso l’esopianeta GJ 273b nel 2017 contenente le istruzioni per comprendere la matematica e la musica terrestre.

NEL 2017 ABBIAMO INVIATO UN MESSAGGIO RADIO VERSO IL PIANETA GJ 273b

NEL 2017 ABBIAMO INVIATO UN MESSAGGIO RADIO VERSO IL PIANETA GJ 273b

Se da quelle parti esistono forme di vita evolute e sufficientemente progredite, potremmo ricevere un feed back anche se non prima del 2040: quel mondo alieno infatti dista circa 12 anni luce da noi. Certo, non una comunicazione veloce, ma avere tempo per comprendere il messaggio e poi per rispondere adeguatamente non sarebbe in fondo un male. Già negli Anni Settanta, Michael Arbib- professore emerito di Informatica, Ingegneria Biomedica, Ingegneria Elettrica, Scienze Biologiche e Psicologia- sosteneva che il ritmo lento nelle comunicazioni ci avrebbe dato tempo di assimilare la notizia e di trovare una saggia linea di azione. Insomma, la curiosità dovrà andare di pari passo con la cautela: le civiltà aliene potrebbero considerarci un territorio da conquistare o una scorta di cibo, quindi sarebbe consigliabile avere un’idea di cosa sono e di cosa vogliono prima di entrare in contatto con loro.

COSA POTREBBE VOLERE DA NOI UN'ALTRA CIVLTÀ DELLO SPAZIO?

COSA POTREBBE VOLERE DA NOI UN’ALTRA CIVLTÀ DELLO SPAZIO?

«Ci sarà un problema se vorremo comunicare e dare la nostra posizione senza prima accertarne la cultura», sostiene Vahé Peroomian, professore di fisica e astronomia dell’Università della California del Sud (USC). Gli fa eco il collega Richard Jones, docente di inglese come seconda lingua con una vasta esperienza nell’insegnare a persone con background linguistici molto diversi a superare gli ostacoli per una comunicazione efficace. «La parola “umano” e il verbo “essere* sarebbero le prime parole che suggerirei di imparare a esprimere. Poi, a nostra volta, potremmo provare a imparare come si riferiscono a se stessi e come esprimono la loro esistenza, come trasmettono l’equivalente della frase “Sono un essere umano”», spiega il professore. Se poi questi ET fossero in grado di compiere viaggi interstellari e di venire a trovarci, potremmo osservarli nella loro vita quotidiana. Sulla base di questa osservazione reciproca, potremmo essere in grado di costruire una serie di idee sul tipo di parole da insegnare e imparare, un po’ come fa la protagonista del film Arrival che riesce a comunicare con alieni simili a piovre utilizzando una lavagnetta e semplici segni grafici.

LA RAZZA ALIENA NEL FILM "ARRIVAL" COMUNICA COSÌ

LA SPECIE ALIENA NEL FILM “ARRIVAL” COMUNICA COSÌ

Eppure, potrebbe non essere così semplice. Molti dei trucchi che usiamo di solito per aiutarci a costruire rapidamente la nostra conoscenza di una nuova lingua si basano sulla nostra comprensione generale di come funzionano tipicamente gli idiomi umani, ma una lingua extraterrestre potrebbe non rispecchiare questi schemi ricorrenti. «Potrebbe essere possibile che forme di vita aliene trasmettano pensieri attraverso il tatto o altri mezzi non verbali», afferma Jones. «La comunicazione tra insetti, come la danza delle api, è talvolta descritta come linguaggio». In questo caso, potrebbe essere utile una collaborazione tra un linguista e un entomologo. Tutt’altro discorso, ovviamente, nel caso in cui la vita aliena si rivelasse di forma elementare, a livello batterico. Potrebbe costituire comunque una minaccia per l’Umanità?

Qualsiasi rischio di infezione dipenderebbe dal fatto che i germi alieni contengano molecole simili alle nostre. Ipotesi non remota, visto che gli scienziati ritengono probabile una chimica condivisa in tutta la galassia. Aminoacidi e peptidi, i precursori della vita sulla Terra, sono stati trovati sugli asteroidi e si ritiene che ovunque- dove c’è acqua- esistano condizioni di abitabilità. Tuttavia per ora il pericolo maggiore ce lo stiamo creando da soli, perché nei nostri viaggi spaziali portiamo con noi anche dei microorganismi terrestri capaci di sopravvivere alle condizioni più estreme.«Potrebbero modificarsi e adattarsi nello spazio alle radiazioni e quindi, attraverso un’altra missione spaziale, potrebbero tornare indietro con quei cambiamenti e diventare più virulenti o più contagiosi» sostiene Raffaella Ghittoni, professoressa di biologia dell’USC.

ESISTE IL RISCHIO DI UNA CONTAMINAZIOINE ALIENA

ESISTE IL RISCHIO DI UNA CONTAMINAZIOINE ALIENA

Va da sé, però, che a rivoluzionare veramente il nostro modo di pensare e le nostre certezze sarebbe un incontro a tu per tu con esseri provenienti da altri pianeti. Un’eventualità sempre ridicolizzata dalla scienza accademica, ritenuta assurda per le enormi distanze che separano le stelle, ma non così impossibile con una tecnologia che- almeno in teoria- ora anche i nostri astrofisici conoscono bene. E l’osservazione di quei velivoli misteriosi, ripresi dai piloti militari, che tanta preoccupazione hanno sollevato nella politica americana tanto da determinare la creazione di un ufficio di indagine apposito, ha destato anche in illustri esponenti del mondo scientifico (come il professore Avi Loeb o il collega Michio Kaku) il legittimo dubbio di una provenienza non terrestre. Ma se un giorno gli occupanti di questi oggetti volanti non identificati si presentassero al mondo, cosa accadrebbe?

Un primo effetto da tempo previsto dai sociologi colpirebbe i credo religiosi, facendo crollare molte convinzioni radicate o alimentando paure millenaristiche. Ma secondo il reverendo Dorian Llywelyn, presidente dell’Istituto di Studi Cattolici Avanzati presso l’università californiana, solo una minoranza dei fedeli vedrebbe negli UFO il segno della fine dei tempi. Certo, tra i Cristiani si innescherebbe una profonda discussione a livello teologico, ad esempio sul concetto della salvezza Cristica: Gesù è morto in croce solo sulla Terra o su tutti gli altri pianeti abitati? Per le altre fedi, i problemi sarebbero probabilmente minori visto che Il Talmud del giudaismo descrive Dio che viaggia tra 18.000 mondi, mentre sia il buddismo che l’induismo ammettono l’esistenza di altri regni celesti.

GLI UAP RIPRESI DAI PILOTI USA POTREBBERO NON ESSERE DI QUESTO MONDO

GLI UAP RIPRESI DAI PILOTI USA POTREBBERO NON ESSERE DI QUESTO MONDO

In definitiva, la scoperta della vita extraterrestre modificherebbe la percezione della nostra posizione nel cosmo– non solo da un punto di vista scientifico, ma anche spirituale. Da sempre, infatti, la nostra visione antropocentrica ci ha fatto credere di essere unici. Incontrare una razza interstellare o anche solo scoprire un microbo su un altro pianeta porterebbe a un’importante autoriflessione, come afferma il professor Peroomian: «Per millenni, gli esseri umani hanno sostenuto che la Terra è speciale. All’inizio, pensavamo che fosse il centro dell’universo, poi il centro della nostra galassia. E anche quando tutto ciò è stato smentito, pensiamo ancora che la Terra sia l’unico luogo nel cosmo in cui esiste la vita. Dissipare finalmente questa nozione sarà una lezione molto preziosa per l’umanità».

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