Siamo soli nell’universo? Il telescopio James Webb ce lo dirà

Molti di noi vivrebbero come uno choc la scoperta di altre forme di vita intelligente nello spazio. Ma quanto sarebbe spaventoso avere la certezza, al contrario, che la Terra è l’unico pianeta abitato dell’intero cosmo? Sapremmo di essere eternamente soli nella vastità infinita che ci circonda… Forse è per questo che da sempre l’Uomo si interroga sull’esistenza di altre creature su mondi lontani e che la scienza sta impegnando tutti i mezzi a sua disposizione per individuarle. Ma sempre senza successo e anche la più vasta ricerca del genere finora effettuata ha deluso ogni aspettativa.

SIAMO SOLI NELL'UNIVERSO?

SIAMO SOLI NELL’UNIVERSO?

Statisticamente parlando, la possibilità che esistano civiltà dello spazio è tutt’altro che trascurabile. Solo nella nostra galassia ci sono miliardi di pianeti potenzialmente abitabili e quel numero, già impressionante, diventa quasi incommensurabile se lo si moltiplica per i miliardi di galassie sparse nell’universo. Il metodo più utilizzato per scovare tracce di vita intelligente è quello usato da decenni dal SETI (sigla che sta per Search for Extra Terrestrial Intelligence), ovvero mettersi all’ascolto di onde radio emesse da tecnologie evolute almeno quanto la nostra. Ed è esattamente quello che hanno fatto alcuni ricercatori puntando verso il centro della Via Lattea i sensori del radiotelescopio MWA, il Murchison Widefield Array posizionato nel deserto australiano e formato da oltre 4 mila piccole antenne.

IL CENTRO DELLA GALASSIA

IL CENTRO DELLA GALASSIA

Il centro galattico è il punto con la più alta concertazione di stelle e pianeti. Dunque,  dovrebbe essere anche il luogo ideale nel quale trovare qualche segnale prodotto volontariamente. La scansione di questa porzione della volta celeste era mirata su 144 sistemi planetari, ma ha poi coinvolto qualcosa come circa 3 milioni di stelle. Lo scopo era captare una tecnofirma, ovvero un’emissione radio inequivocabilmente di origine non naturale. Ma niente: in sette ore di attento ascolto gli astronomi non hanno rilevato alcun segnale intelligente, come hanno spiegato nell’articolo pubblicato online su ArXiv.org. La loro indagine prova dunque siamo desolatamente soli nell’universo? La risposta è: no.

IL MWA NEL DESERTO AUSTRALIANO

IL MWA NEL DESERTO AUSTRALIANO

Innanzitutto, perché la ricerca ha coperto un’area equivalente all’1% del campo visivo del MWA. Secondo, perché si è concentrata soltanto su una precisa gamma di frequenze, sui 155 MHz, tanto che nel prossimo futuro l’obiettivo è operare su una gamma più ampia. Ma soprattutto perché potrebbe essere sbagliato il presupposto di partenza, ossia pensare che delle ipotetiche civiltà dello spazio usino gli stessi tipi di tecnologia di noi terrestri. Ecco perché molti studiosi ritengono ormai superato l’approccio del SETI e puntano a individuare tecnofirme di natura differente. Ad esempio, i radiotelescopi più sensibili potrebbero cogliere su un remoto pianeta extrasolare l’emissione di luce artificiale di città aliene o appurare l’esistenza di sistemi di trasporto o ancora evidenziare prove di attività industriale.

Come? Grazie alle tracce chimiche rilasciate nell’atmosfera dagli esseri viventi (ad esempio, respirando) e dalla loro tecnologia. Composti che in natura non sarebbero presenti, come i clorofluorocarburi (CFC) che qui sulla Terra sono responsabili del famigerato buco nell’ozono. Un recente articolo, postato sempre su ArXiv.org, suggerisce di utilizzare il più potente telescopio spaziale mai costruito, il James Webb, proprio per questo, per individuare questi potenti gas serra con lunghi tempi di permanenza nelle atmosfere degli esopianeti (a partire da quelli in orbita attorno a TRAPPIST-1): la presenza di CFC indicherebbe quasi sicuramente l’esistenza su quei mondi lontani di una civiltà aliena altamente industrializzata e inquinante quanto la nostra.

IL SISTEMA DI TRAPPIST-1: ALMENO TRE PIANETI SONO POTENZIALMENTE ABITABILI

IL SISTEMA PLANETARIO DI TRAPPIST-1

TRAPPIST-1 è considerato un interessante candidato di partenza per le sue caratteristiche: si trova ad “appena” 40 anni luce da noi, ospita alcuni pianeti rocciosi ed è una nana rossa, cioè una stella più debole e fredda del Sole. Un bene, perché un astro troppo luminoso potrebbe ridurre il segnale dei CFC e le possibilità del telescopio di analizzare le varie componenti chimiche. Il James Webb Space Telescope, lanciato dalla NASA lo scorso Natale, sta ancora settando le sue sofisticate strumentazioni: ha appena dispiegato l’ombrello che lo protegge dalla luce solare e sta allineando i suoi specchi. Dovrebbe diventare operativo nei prossimi mesi.

IL TELESCOPIO SPAZIALE JAMES WEBB

IL TELESCOPIO SPAZIALE JAMES WEBB

Non sappiamo cosa troverà, ma le speranze degli astrobiologi sono grandi proprio per la sua capacità di studiare le atmosfere degli esopianeti. Scrivono infatti nel loro articolo gli autori dello studio:«Con il lancio di JWST, l’umanità potrebbe essere molto vicina a un’importante pietra miliare nella ricerca dell’intelligenza extraterrestre, quella in cui saremo in grado di rilevare dalle stelle vicine non solo trasmissioni potenti, deliberate, transitorie e altamente direzionali come le nostre (ad esempio il messaggio del radiotelescopio di Arecibo), ma anche tecnofirme, coerenti e intense come le nostre».

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