«I pianeti erranti per viaggiare e colonizzare la galassia»

Esplorare il cosmo, raggiungere sistemi solari sconosciuti, colonizzare pianeti alieni. Un sogno che l’Umanità potrebbe realizzare nei prossimi decenni o secoli, se svilupperà una tecnologia tale da permettere i viaggi interstellari in tutta sicurezza e con tempi di percorrenza un po’ meno impegnativi di quelli attuali: oggi, se costruissimo una navetta spaziale con le strumentazioni più avanzate che abbiamo a disposizione, procedendo a una velocità di 200 km/s impiegheremmo oltre 6 mila anni per arrivare sulla stella più vicina, Proxima Centauri. Ma secondo uno studio recente, si potrebbe anche fare a meno di astronavi per viaggiare nella galassia.

UN'IMMAGINARIO PIANETA CHE VAGA LIBERO NELLO SPAZIO

UN’IMMAGINARIO PIANETA CHE VAGA LIBERO NELLO SPAZIO

L’articolo, pubblicato sull’International Journal of Astrobiology, si intitola “Civiltà extraterrestri migranti e colonizzazione interstellare: implicazioni per SETI e SETA”. A scriverlo, Irina Romanovskaya, professoressa di Fisica e Astronomia presso lo Houston Community College. «Propongo che le civiltà extraterrestri possano usare i pianeti in libero movimento come mezzi di trasporto interstellare per raggiungere, esplorare e colonizzare sistemi planetari», si legge nell’abstract. Questi pianeti, meglio noti come “rogue planets” (pianeti canaglia), sono quei mondi che per vari motivi non sono in orbita attorno a una stella, ma si muovono liberamente nello spazio. E ce ne sarebbero tantissimi là fuori: nel 2021, un team di ricercatori ha annunciato la scoperta di  almeno una settantina di questi mondi orfani della dimensione di Giove in una precisa zona della Via Lattea, ma nell’intera galassia ne esisterebbero 50 miliardi.

Anche se non ricevono la luce da una stella, ciò non significa che siano gelide palle di neve a spasso per l’universo. Al contrario, potrebbero conservare un certo livello di calore, prodotto dall’energia geotermica per decadimento radioattivo dell’interno del nucleo: anche corpi grandi come la Terra, in questo modo, avrebbero una temperatura superficiale in grado di mantenere l’acqua allo stato liquido e quindi si formerebbero mari e oceani. Inoltre, avrebbero una forza di gravità sufficiente per evitare la fuga di idrogeno ed elio- dunque, conserverebbero un’atmosfera. Tutte condizioni favorevoli alla vita. Spiega la docente: «I pianeti fluttuanti possono essere dotati di una gravità superficiale costante, di una grande quantità di spazio e di risorse: quelli con oceani in superficie o sotterranei possono fornire acqua per il consumo ma anche  per proteggere dalle radiazioni».

SECONDO QUESTO STUDIO, I PIANETI CANAGLIA POTREBBERO SERVIRE COME MEZZI DI TRASPORTO INTERSTELLARE

I PIANETI CANAGLIA POTREBBERO SERVIRE COME MEZZI DI TRASPORTO INTERSTELLARE

Insomma, come e meglio di un’astronave, di dimensioni ovviamente più ridotte, con risorse limitate, più esposta ai potenziali danni di un viaggio interstellare. Non solo: questi pianeti potrebbero essere “ingegnerizzati” da una civiltà estremamente evoluta, diventando in questo modo ancora più efficienti. Ad esempio, potrebbero innescare la fusione nucleare per renderli ancora più caldi. In ogni caso, muoversi nel cosmo sfruttando un pianeta canaglia sarebbe sempre vantaggioso e la Romanovskaya ha immaginato quattro diversi scenari. Il primo contempla la possibilità di ricorrere a un pianeta vagante di passaggio in caso di necessità. Ovvero, se gli Extraterrestri si devono salvare da una catastrofe planetaria imminente, se vogliono liberarsi di una parte di popolazione non gradita, se decidono di diffondere la propria specie in altre parti della galassia o se intendono inviare creature post-biologiche in avanscoperta. Comunque, potrebbero usare quel mondo già in movimento come “autostoppisti cosmici”.

Uno dei luoghi nei quali questi mondi senza stella potrebbero trovarsi è la Nube di Oort, agli estremi confini del nostro sistema solare. Probabilmente, tutti i sistemi solari ne hanno una. Scrive la professoressa: “Stelle con una massa solare da 1 a 7 volte in fase di evoluzione, così come una supernova da un progenitore di massa solare da 7 a 20 volte, possono espellere oggetti della Nube di Oort dai loro sistemi in modo che tali oggetti diventino svincolati dalle loro stelle ospiti.» E questo fenomeno non sarebbe neanche troppo raro. Sappiamo infatti che 70 mila anni fa la cosiddetta Stella di Scholz ha attraversato la Nube di Oort, a dimostrazione che i corpi celesti anche di dimensioni colossali (in questo caso, addirittura un astro) possono effettivamente avvicinarsi a noi. Se è vero che nella Via Lattea esistono svariati miliardi di rogue planets, non si può escludere che alcuni di essi in passato ci siano già passati vicino ma non ce ne siamo accorti perché non avevamo ancora costruito i telescopi. Al contrario, una civiltà aliena avanzata saprebbe individuarli e all’occasione usarli per muoversi a folli velocità: secondo alcune stime, questi mondi vaganti potrebbero raggiungere i 55 milioni di km/h

LA NUBE DI OORT AVVOLGE LA PERIFERIA DEL SISTEMA SOLARE

LA NUBE DI OORT AVVOLGE LA PERIFERIA DEL SISTEMA SOLARE

La seconda ipotesi prevede che gli scienziati extraterrestri scelgano uno dei tanti pianeti erranti della loro Nube di Oort e creando un sistema di propulsione lo facciano avvicinare al loro pianeta natale per adattarlo ai loro scopi, magari dotandolo anche di un’atmosfera. Terzo scenario: gli Alieni potrebbero trasformare in rogue planet un corpo invece vincolato a una stella. Irina Romanovskaya fa l’esempio di Sedna, pianeta nano del nostro sistema solare, uno dei tanti oggetti trans nettuniani, con un’orbita molto eccentrica (ruota attorno al Sole in 11 mila anni). Con la tecnologia giusta e con molto tempo a disposizione, il planetoide potrebbe essere strappato dal suo naturale percorso. Resta poi la quarta possibilità: quando una stella morente inizia ad espandersi, c’è una distanza critica alla quale  i pianeti in orbita verranno espulsi. Potendo calcolare con precisione quando ciò avverrà, gli ET potrebbero preparare in anticipo il pianeta prescelto e occuparlo appena prima della sua espulsione. Sia questa che la precedente ipotesi, però, comportano rischi molto elevati: da un lato, alterare le orbite in un sistema ordinato potrebbe provocare forti perturbazioni nel movimento degli altri pianeti, dall’altro attendere fino all’ultimo il momento in cui una stella si espande sarebbe estremamente pericoloso.

IL PIANETA NANO SEDNA, UNO DEGLI OGGETTI TANS NETTUNIANI

IL PIANETA NANO SEDNA, UNO DEGLI OGGETTI TRANS-NETTUNIANI

In ogni caso, il pianeta vagante non sarà la casa definitiva della civiltà che lo sta utilizzando, ma servirà come scialuppa di salvataggio– utile, ma provvisoria. Quel mondo alla deriva nello spazio, mai illuminato da un suo sole, non avrà stagioni, né alternanza di giorno e notte. Non avrà probabilmente né piante né animali. «Per questo, piuttosto che rendere i pianeti fluttuanti le loro dimore definitive, le civiltà extraterrestri li useranno come mezzi di trasporto interstellare per raggiungere e colonizzare altri sistemi planetari», scrive la ricercatrice. Se l’obiettivo non è quello di salvarsi dalla distruzione del proprio pianeta, ma è di diffondersi nella galassia, il risultato sarà la proliferazione di tante civiltà, identiche a quella originaria, ma in regioni dello spazio diverse. «Una civiltà di autostoppisti cosmici agirebbe come una civiltà genitore che diffonde i semi delle civiltà figlie nella forma di proprie colonie in altri sistemi planetari. Questo si applica sia a specie biologiche che post-biologiche».

Ovviamente, questo vagare a bordo di mondi erranti non dovrebbe restare inosservato. Sarebbero invece molte  le firme tecnologiche, ovvero le tracce non naturali, lasciate da questi pianeti-astronave che le nostre strumentazioni oggi possono scovare: dalle radiazioni di ciclotrone rilasciate dalle vele solari, alle emissioni di infrarossi in quantità o distribuzione irregolare, fino alla stessa presenza di un’atmosfera come prodotto di “terraforming”, cioè terraformazione. Ecco perché i pianeti canaglia dovrebbero diventare oggetto di interesse per il SETI e il SETA, che si occupano rispettivamente di ricercare i segnali di vita intelligente e gli artefatti extraterrestri. Ma come trovarli? Per loro natura, questi nomadi spaziali privi di luce solare sono corpi celesti molto scuri, difficili da individuare. Un aiuto potrebbe presto arrivare dal nuovo osservatorio in costruzione in Cile, il Vera Rubin Observatory, che scruterà tutto il cielo visibile nel dettaglio. Avrà la fotocamera digitale più potente al mondo e riuscirà a vedere i corpi transitori, ossia gli oggetti che mutano di posizione e di luminosità in breve tempo.

I MONDI NOMADI, NON ILLUMNATI, SONO DIFFICILI DA INDIVIDUARE

I MONDI NOMADI, NON ILLUMINATI, SONO DIFFICILI DA INDIVIDUARE

Con il suo enorme occhio elettronico, il Vera Rubin potrebbe così “catturare” il primo rogue planet di passaggio vicino al nostro sistema solare. Potrebbe essere un mondo deserto che vaga da milioni di anni oppure, proprio come formula la Romanovskaya, persino un pianeta vagabondo sfruttato da creature extraterrestri altamente avanzate che fuggono da una stella morente o che cercano di colonizzare la Via Lattea. Fin qui, a parlare è stata la scienza, quella ufficiale. Ma non suona del tutto originale, almeno per chi ha divorato i libri di Zacharia Sitchin, sempre considerati dal mondo accademico opere di pura fantasia. Anche in quelle pagine si parlava di un mondo errante, sebbene legato in qualche modo al Sole, abitato da un popolo di conquistatori e di scienziati che una volta raggiunta la Terra in epoche remote, quando l’umanità era solo agli albori della sua storia,  avrebbe deciso di colonizzarla, contribuendo a terraformare il nostro pianeta e a far evolvere i suoi abitanti. Ma quelle storie erano solo pseudoscienza, giusto?

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