Ecco come la NASA si prepara per Marte

Non capita spesso di incontrare- tutti insieme e nello stesso giorno-  un astronauta, il direttore di un centro spaziale, ingegneri, tecnici e manager che lavorano per preparare l’esplorazione del sistema solare.  Ma è proprio quello che è capitato a me ed a un gruppo di altri giornalisti, invitati dalla 20th Century Fox a Houston, al Johnson Space Center della NASA.

UNA SCENA DEL FILM "THE MARTIAN-SOPRAVVISSUTO" (R. SCOTT, 2015)

UNA SCENA DEL FILM “THE MARTIAN-SOPRAVVISSUTO” (R. SCOTT, 2015)

L’occasione era la presentazione, in anteprima alla stampa, della versione homevideo del film “The Martian-Sopravvissuto”, l’ultimo successo di Ridley Scott, con protagonista Matt Damon, ambientato nel 2030. La location non è stata scelta a caso, ovviamente: il Centro Controllo Missione è il cuore nevralgico di ogni missione spaziale, che viene seguita dal momento del lancio fino al rientro sulla Terra. E in “The Martian”, è a Houston che arriva il messaggio di aiuto dell’astronauta abbandonato sul suolo marziano, Mark Watney.

Ma non solo. Il colosso hollywoodiano ha organizzato il press event  proprio qui per sottolineare gli stretti rapporti di collaborazione con l’ente spaziale americano, che ha dispensato molti consigli in fase di scrittura e di preparazione del film in modo da renderlo il più aderente possibile alla realtà. Non forse la realtà attuale, ma comunque possibile nel giro di pochi anni. Il viaggio su Marte, la presenza di un avamposto umano, la capacità di trasformare il suolo marziano per le nostre esigenze sono già al centro di progetti scientifici ben avviati. Vediamo come.

Nel film, il protagonista deve trascorrere mesi all’interno dell’Hab, il  modulo abitativo posizionato sul suolo marziano. A Houston, ne esiste già uno simile, chiamato HERA ( Human Exploration Research Analog), un container nel quale i futuri equipaggi possono sperimentare le condizioni di vita in ambienti isolati. La struttura su due piani ha stanze,  luoghi di lavoro e simula anche una camera stagna. Per ora, gli astronauti rimangono segregati qua dentro per due settimane, per prepararsi a quello che vivranno una volta sull’ISS. Ma è previsto un allungamento del training fino a 60 giorni, in prospettiva di missioni ben più impegnative.

IL MODULO SPERIMENTALE HERA

IL MODULO SPERIMENTALE HERA

La sopravvivenza di Mark Watney-Matt Damon è possibile grazie alle patate che coltiva, trasformando una parte dell’Hab in serra. Un’ipotesi tutt’altro che assurda. Sulla stazione spaziale internazionale, di recente è stata introdotta la coltivazione dell’ insalata, per consentire agli astronauti di mangiare un po’ di cibo fresco, oltre alle buste liofilizzate. Il sistema di produzione è chiamato Veggie: utilizzando luce rossa, blu e verde, aiuta lo sviluppo delle piantine all’interno di piccoli sacchetti con fertilizzante. Solo un primo passo in direzione della coltivazione spaziale, al quale ne seguiranno altri, allo scopo di consentire la produzione degli alimenti necessari al sostentamento degli astronauti su Marte.

Ma dove trovare sufficiente acqua? Oggi sul Pianeta Rosso non ci sono più i mari, i laghi e i fiumi che un tempo lo ricoprivano. Un problema serio. Sulla ISS, è stato affrontato riciclando tutta l’acqua disponibile, in ogni forma. Nessuna goccia va sprecata e gli equipaggi dicono –scherzando, ma non troppo- che “il caffè di oggi diventerà il caffè di domani”. Infatti, l’Enviromental Control and Life Support System e il Water Recovery System recuperano, filtrano e rendono di nuovo potabile il sudore, l’urina, l’acqua usata per l’igiene personale e così via.  Un processo non semplice. Infatti in un ambiente con microgravità i liquidi si comportano in modo molto diverso e serve una centrifuga per distillare l’urina, fino a quando i gas e i liquidi non si separano come avviene sulla Terra.

Ma la ISS è vicina e in caso di necessità i rifornimenti d’acqua possono arrivare in breve tempo. Per Marte no: il viaggio, ad oggi, impiegherebbe circa 9 mesi. Quindi la NASA sta continuando a studiare il metodo migliore, sperimentando microfiltri sempre più efficaci anche per utilizzare la brina (che oggi sappiamo essere presente sulla superficie marziana). La tecnologia dietro a questo sistema viene già utilizzata sul nostro pianeta e permette di produrre acqua pulita e potabile nelle località devastate da disastri naturali.

MARTE HA GHIACCIO E BRINA

MARTE HA GHIACCIO E BRINA

Ma non bastano un rifugio sicuro, il cibo e l’acqua per sopravvivere: serve soprattutto ossigeno. In “The Martian”, prima di uscire all’aperto, il protagonista deve usare una specie di bombola, caricata con un ossigenatore, che produce ossigeno utilizzando l’anidride carbonica.  Il punto di riferimento più prossimo, ancora una volta, è quanto avviene sulla Stazione Spaziale Internazionale: anche qui esiste un Oxygen Generation System, che riprocessa l’atmosfera dell’abitacolo per fornire in continuazione aria respirabile attraverso un meccanismo di elettrolisi che spacca la molecola dell’acqua H2O in atomi di ossigeno ed idrogeno.

L’ossigeno viene immesso nell’aria della stazione, mentre l’idrogeno viene in parte disperso nello spazio e in parte usato per alimentare il sistema che crea l’acqua dai sottoprodotti rimasti nell’atmosfera interna.  Anche questo metodo dovrà essere incrementato e migliorato, nell’ottica di una lunga permanenza nello spazio o sulla superficie di un pianeta estremamente povero di ossigeno come Marte.

Nel film vediamo poi l’equipaggio di Ares 3 indossare delle tute spaziali molto aderenti e decisamente meno ingombranti di quelle legate al nostro immaginario collettivo dalle missioni Apollo in poi. Pura fantasia? Anche in questo caso, non proprio.

La NASA ha già progettato  dei prototipi, l’ultimo chiamato Z-2 Prototype Exploration Suit,  che potrebbero indossare i primi uomini sul Pianeta Rosso. Richiedono un’avanzata tecnologia. Il materiale deve essere leggero e flessibile, per consentire i movimenti – come camminare, raccogliere campioni e compiere altre attività di ricerca.

FINZIONE E POSSIBILE REALTA' A CONFRONTO

FINZIONE E POSSIBILE REALTA’ A CONFRONTO

Nello stesso tempo, però, deve essere abbastanza spesso e resistente per difendere il corpo umano dal freddo, dalle radiazioni cosmiche e dalla polvere. Quest’ultima, se rimane attaccata alla tuta spaziale, può diventare un problema per i macchinari all’interno della navetta. I nuovi prototipi possono essere tolti molto rapidamente, in modo che l’astronauta se ne possa spogliare lasciando le tute in uno spazio esterno alla navetta.

E ancora: come spostarsi, una volta “ammartati”? La perlustrazione a piedi limiterebbe troppo l’equipaggio. Sarebbe necessario un mezzo, tipo rover, robusto e versatile per attraversare il terreno accidentato di Marte, proprio come quello che usa Mark Watney. Ebbene, anche questo è stato già contemplato. La NASA sta lavorando ad un Multi-Mission Space Exploration Vehicle, in grado di muoversi sulla superficie di un asteroide, della Luna o di Marte indifferentemente, dal quale scendere e salire in pochi istanti e con una adeguata schermatura per le radiazioni. Alcune versioni del mezzo prevedono la presenza di sei coppie di ruote in grado di girare sul proprio asse per ottenere la massima manovrabilità.

UN PROTOTIPO DI SPACE EXPLORATION VEHICLE

UN PROTOTIPO DI SPACE EXPLORATION VEHICLE

Ho avuto modo di provare l’ebbrezza di una breve escursione su uno di questi rover sperimentali proprio a Houston. In una area  deserta del centro spaziale è stato ricreato un angolo extraterrestre, con dune, sassi e pietrisco, per mettere alla prova le capacità di questi veicoli, chiamati al momento semplicemente Space Exploration Vehicle. All’interno c’è posto per 5-6 persone, i cuscini dei sedili posteriori si possono trasformare in un giaciglio di fortuna  e nella parte posteriore dell’abitacolo c’è un servizio igienico separabile- per privacy- da una tendina.

Il rover con le sue coppie di ruote autonome può affrontare salite molto ripide e discese scoscese senza perdere aderenza. Nell’aspetto, sembra un piccolo mezzo blindato ed è dotato di telecamere che riprendono l’esterno da ogni lato del veicolo.

Entrare lì dentro è stato un po’ come fare un giro sull’ ottovolante da bambini. E infatti, gli occupanti- tutti giornalisti con parecchie primavere alle spalle, come la sottoscritta- non hanno smesso di ridere, urlare e fare battute di spirito come degli adolescenti in gita…

Ma resta una questione cruciale: come arrivare lassù? Con quali mezzi di propulsione? In “The Martian”, l’astronave Hermes è arrivata fino nell’orbita di Marte percorrendo la distanza che la separava dalla Terra ( nel punto di massima vicinanza tra i pianeti è di circa 56 milioni di chilometri ) grazie ad un propulsore ionico. Spiegano alla NASA: funziona caricando elettricamente un gas- come l’argon o lo xeno- e poi “premendo” gli ioni. La costante accelerazione, nel corso del tempo, può portare l’astronave a raggiungere una velocità fenomenale. Inoltre, il propulsore ionico le permette di cambiare l’orbita, così può staccarsi e proseguire il suo viaggio verso altre mete.  Ovviamente, anche questo sistema esiste già e deve essere solo perfezionato.

UN MURALE DIPINTO AL JOHNSON SPACE CENTRE DELLA NASA

UN MURALE DIPINTO AL JOHNSON SPACE CENTER DELLA NASA

Con quale energia, però, azionare il propulsore ionico?  Per quello che ne sappiamo, nel suolo marziano non ci sono giacimenti petroliferi o di gas. L’assenza di fonti di energia, nel film ispirato al racconto “L’uomo di Marte” di Andy Weir, è stata risolta con l’utilizzo di pannelli solari. Dunque è dal Sole che l’astronave Hermes ricava l’energia necessaria.  Ma lo sta facendo anche l’ISS: quattro serie di pannelli producono fino a 120 kilowatt, sufficienti per le esigenze di una quarantina di abitazioni e molto più di quanto non necessiti veramente la stazione spaziale.

A questo punto del discorso, lo avrete già capito: le missioni del futuro sfrutteranno veramente l’energia solare.  La navicella che ci porterà più lontano di quanto non abbiamo mai fatto è già in fase di progettazione ed ha già un nome: Orion.   “La tecnologia che ci porterà su Marte esiste già- mi conferma l’ex astronauta Drew Feustel. “Ora dobbiamo soltanto migliorarla…”   (Continua…)

SABRINA PIERAGOSTINI

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