Pim Van Lommel: “Le esperienze di premorte non sono allucinazioni”

Cos’è la morte? Esiste l’ Aldilà? La nostra anima, il nostro Io, la nostra coscienza- chiamatela come preferite- sopravvive al corpo? Sono domande che l’Uomo si pone da sempre. La teologia e la filosofia hanno avuto millenni per elaborare le loro risposte. Invece, è solo da qualche decennio che anche la scienza- in particolare, la medicina e la neuropsichiatria– affronta l’argomento. Quasi sempre, negando ogni fondatezza oggettiva ad esperienze straordinarie come la cosiddetta NDE.

IL CLASSICO TUNNEL DI LUCE CHE SI VEDE DURANTE UNA NDE

IL CLASSICO TUNNEL DI LUCE CHE SI VEDE DURANTE UNA NDE

Con questa sigla, in inglese si intende una Near Death Experience- un’esperienza di premorte. Una totale assurdità comunemente liquidata con normali spiegazioni chimico-fisiologiche: chi crede di vedere un’altra dimensione mentre si trova in punto di morte in realtà avrebbe solo un’allucinazione, prodotta da un cervello sotto stress e senza ossigeno. Un’idea che però alcuni ricercatori stanno sempre più apertamente contestando, portando dati statistici ed analisi scientifiche per confutare l’opinione dominante.

Uno di questi ricercatori è Pim Van Lommel, cardiologo olandese che ha dedicato molti anni della sua vita proprio allo studio approfondito di questo fenomeno. Meglio, è stato il primo a condurre, 30 anni fa, uno studio prospettico e longitudinale della NDE, pubblicato nel dicembre 2001 sulla prestigiosa rivista medica The Lancet. Quella ricerca è poi diventata un libro che nel 2007 è stato un best seller in Olanda. In seguito, è stato tradotto in inglese, tedesco, francese e spagnolo. Solo ora è stato pubblicato anche nel nostro Paese dalle Edizioni Amrita, con il titolo “Coscienza oltre la vita– La scienza delle esperienze di premorte.”

Proprio per presentare il libro al pubblico italiano, a fine marzo il dottor Van Lommel è stato a Torino per una conferenza nella quale ha spiegato i punti cardine del suo studio, le caratteristiche salienti di una NDE, le conseguenze che essa comporta in chi la sperimenta e le importanti conclusioni alle quali la sua ricerca lo ha condotto. Per noi, è stata l’occasione per rivolgergli alcune domande. Ecco la prima parte l’intervista.

IL MEDICO OLANDESE PIM VAN LOMMEL

IL MEDICO OLANDESE PIM VAN LOMMEL

Cosa si intende per NDE?

La Near Death Experience o NDE è il racconto di un ricordo di uno stato di coscienza molto speciale, con caratteristiche universali, come la sensazione di essere fuori dal proprio corpo, cioè una persona vede se stessa dall’alto mentre viene rianimata ( Out of Body Experience, OBE in inglese, N.d.A.), si sperimenta la visione di un tunnel o di una luce o di un raggio di luce e l’incontro con i propri cari defunti,  si rivive l’intera vita oppure le esperienze più importanti della propria infanzia, a volte si hanno delle anticipazioni di quello che accadrà in futuro. Inoltre si sperimenta una sensazione di amore incondizionato e di incredibile saggezza.

Arrivi ad un punto di confine e sai che se lo attraversi non potrai più tornare indietro; si è tristi perché si sa che non resta molto tempo e quindi c’è la consapevolezza di dover far  rientro nel proprio corpo che soffre, perché ha subìto danni in un incidente stradale oppure in un infarto. Questo tipo di esperienze si verificano solitamente durante situazioni mediche critiche come l’arresto cardiaco, la morte clinica, il coma dovuto a incidenti stradali o per danni cerebrali oppure per pesanti emorragie per le complicazioni durante il parto.

Ma talvolta si verificano anche senza aver subìto danni fisici, durante la meditazione o per gravi forme di depressione, o magari anche senza alcuna ragione evidente. Inoltre, questo tipo di esperienze si possono provare anche nello stadio finale di una malattia e vengono chiamate “esperienze sul letto di morte”. L’aspetto particolare di questo tipo di esperienza è che è stata menzionata in tutti tempi, in tutte le culture, in tutte le religioni, e l’aspetto ancora più speciale è che provoca trasformazione. Ciò significa che la gente cambia. Tutta una vita cambia dopo un’esperienza di appena 2 minuti. E chi lo prova, lo spiega dicendo che si capisce cosa davvero conti nella vita.

CHI VIVE UNA NDE, RACCONTA SPESSO DI ESSERE USCITO DAL PROPRIO CORPO

CHI VIVE UNA NDE, RACCONTA LE FASI DELLA SUA RIANIMAZIONE

Quando e perché ha deciso di studiare questo fenomeno?

Non è stata una vera e propria decisione. La prima volta che ho avuto un paziente che mi ha raccontato un’ esperienza del genere è stato nel 1969. Ero all’inizio della mia specializzazione in cardiologia.  Fino al 1967, quasi tutti i pazienti morivano perché le moderne tecniche di rianimazione come il defibrillatore non erano possibili. Io lavoravo nel primo Centro di Unità Coronarica che c’era allora in Olanda e avevamo pazienti che si riprendevano dopo che erano stati rianimati. Noi dopo la rianimazione eravamo molto felici, ma i pazienti erano invece molto, molto delusi e mi raccontavano della luce, dalla musica e così via…

Io non l’ho mai dimenticato, ma non ho fatto nulla, perché all’epoca non esisteva neppure la terminologia nè una letteratura specifica su questo tipo di fenomeni. Solo nel 1986 ho letto il primo libro che trattava in modo dettagliato questo tipo di esperienza di premorte (“Return from Tomorrow” di George Ritchie, N.d.A.)  e allora ho iniziato ad interessarmi di chi  ricordava qualcosa di questo stato di coscienza. Quando mi sono reso conto che, in soli due anni, di 50 miei pazienti, ben 12 mi avevano raccontato una NDE , la mia curiosità scientifica mi ha portato a studiare questo fenomeno. Perché secondo un concetto della medicina attuale è invece impossibile provare coscienza  se sei incosciente quando si ferma la circolazione del sangue.

Quanto è durato lo studio, quanti pazienti ha coinvolto e per quanti anni?

Dal momento che  è stata la prima analisi con un esame prospettico dell’argomento, come spiega il libro che finalmente è uscito anche in Italia, lo studio ha preso in esame 344 pazienti con arresto cardiaco curati in ospedale. Questo aspetto ha impegnato 4 anni. Abbiamo scoperto che l’18 %  dei pazienti che avevano subìto un arresto cardiaco avevano memorie di quel periodo di incoscienza. Abbiamo allora cercato di capire se potesse esserci una spiegazione per il fatto che questi pazienti avessero sperimentato questa forma di coscienza, ma non c’era alcuna relazione comparando i 282 pazienti che non avevano avuto NDE.

Abbiamo paragonato la durata dello stato di incoscienza, se erano stati 2 minuti o 8 minuti, la durata dell’arresto cardiaco, se erano rimasti  mesi in coma oppure no, e altre logiche spiegazioni come il tipo differente di cure. Ma non c’era nessuna differenza tra il 18 % dei pazienti che avevano memorie di questo periodo di incoscienza e l’82 % dei pazienti che non riferivano una NDE. Quindi non c’è assolutamente nessuna spiegazione scientifica per stabilire perché solo il 18 % racconta una NDE. Ma come dicevo, un aspetto molto importante in tutto questo è che  la scienza, ancora oggi, crede in un presupposto mai dimostrato, ovvero che la coscienza sia un prodotto del cervello.  Ma visto che durante un arresto cardiaco  l’attività cerebrale si ferma,  la coscienza è impossibile.

DURANTE L'ARRESTO CARDIACO, ANCHE LE FUNZIONI CEREBRALI SI INTERROMPONO

DURANTE L’ARRESTO CARDIACO, ANCHE LE FUNZIONI CEREBRALI SI INTERROMPONO

La seconda parte dello studio è durata 10 anni, con interviste a lungo termine. A distanza di 2 e di 8 anni dall’arresto cardiaco, tutti i pazienti che avevano sperimentato una NDE avevano subìto una trasformazione, non avevano più paura della morte e capivano cosa fosse importante nella vita. Quindi questo studio longitudinale ha verificato la trasformazione dei pazienti che avevano provato una NDE e abbiamo trovato questa trasformazione solo in questi pazienti, non negli altri sopravvissuti che non l’avevano sperimentata. Un effetto oggettivo di una esperienza soggettiva.

Molti medici e scienziati insistono col dire che la NDE è solo una forma di allucinazione, prodotta da un cervello sotto stress per anossia. Lei cosa ribatte?

Conosco questi tipo di teorie, sostengono che si tratti solo di mancanza di ossigeno, allucinazioni, sogni vividi e così via. Ma innanzi tutto,  per quanto riguarda le allucinazioni, esse sono collegate all’attività del cervello e durante un arresto cardiaco tutte le funzioni cerebrali si fermano. Secondo, quando una persona sperimenta una OBE, si può verificare le sensazioni che ha avuto, perché racconta dei dettagli della rianimazione visti dall’alto al di sopra del corpo: sa chi c’era, cosa dicevano i presenti, cosa hanno fatto e così via. E anche il momento in cui è accaduto prova che queste persone hanno percepito una reale esperienza del cervello, avvenuta veramente mentre  le funzioni cerebrali non c’erano per niente. Non è un’allucinazione, ma è una percezione da loro vissuta come reale senza però alcuna corrispondenza con la realtà.

-continua

SABRINA PIERAGOSTINI

 

 

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