L’uomo-scimmia: un ramo collaterale dell’evoluzione umana?

Nessuna prova dimostra , finora, l’esistenza dell’Uomo-scimmia. Ma al momento, non vi è neppure alcuna dimostrazione incontrovertibile che non esista. I ricercatori più onesti lo riconoscono e lasciano uno spazio aperto alla possibilità. Remota, minima, eppure non ancora completamente eliminabile.

Lorenzo Rossi, il criptozoologo che ci ha accompagnato sulle tracce del Bigfoot- così come viene chiamato in lingua anglosassone l’Uomo Selvatico- pone però dei paletti.

 <Il fenomeno presenta caratteristiche interessanti soprattutto in Asia, perché si registra una certa omogeneità nei presunti avvistamenti. Mentre nel nord America si parla di un gigante di 2 o 3 metri, sul quale – come ho già detto- nutro seri dubbi, invece  nell’estremo Oriente si narra di una  piccola creatura, che in Indonesia, nell’isola di Sumatra, viene chiamata “Orang pendek”. In altre zone , specie lungo le catene montuose, è denominato  “Almàs”, “Almasti”, “’Nguirong”. Ma tutti questi nomi, in lingue diverse, hanno il medesimo significato  di “uomo selvatico, uomo dei boschi”. La cosa che mi ha incuriosito, dopo aver visitato personalmente  questi luoghi, è la grande differenza tra come viene descritto l’uomo-scimmia nella leggenda rispetto a quello che raccontano i testimoni oculari. Mi spiego: la tradizione parla di creature pelose simili all’uomo ed è nota più o meno a tutti nei villaggi. Ma chi conosce  solo la leggenda, si limita a dire che questi esseri sono vagamente simili all’uomo. Mentre la cosa notevole  è che tutti- o quasi tutti- i presunti testimoni  che dicono di aver visto da vicino queste creature, ne danno invece un’altra descrizione, molto più dettagliata . Dicono che posseggono un’arcata sopraccigliare molto prominente, un mento sfuggente, spalle grosse. E’ curioso, perché ricordano molto le descrizioni degli ominidi  pre-sapiens sapiens, come l’homo erectus o  l’uomo di Neanderthal. Magari, chissà, queste leggende possono essere nate dal ritrovamento di fossili di antichi ominidi, oppure- anche se la possibilità è davvero molto piccola , ma al momento non sono in grado di negarla totalmente- forse  qualche popolazione relitta di altri umani meno evoluti può essere sopravvissuta in alcune zone dell’Asia.>

 Insomma, in zone isolate, potrebbe vivere una tribù di ominidi rimasti fermi nella linea evolutiva. Né scimmie, né uomini: a metà. Un’ipotesi affascinante, che però- come Lorenzo Rossi rimarca- è per l’appunto solo un’ipotesi. Nulla di più. Ma non eccessivamente fantasiosa…

<L’Asia è ancora alquanto inesplorata, oltre ad essere molto poco abitata. Ci sono zone come la Mongolia o la Siberia dove ipoteticamente – qui si parla sempre di ipotesi- questi esseri potrebbero anche sopravvivere lontani dai nostri sguardi.>

Ma se mai si dovessero davvero scoprire, un giorno, questi nostri antenati dai volti prognanti e dai corpi pelosi, come dovremmo considerarli? Esseri umani o animali? Una risposta non facile, anche dal punto di vista etico… Rossi però non ha dubbi.

< Io faccio parte della scuola che ritiene anche il gorilla e lo scimpanzè nostri fratelli: per noi sono persone che non parlano. Però la sua domanda è interessante, perchè in effetti  negli anni ’60 scoppiò una diatriba a questo proposito tra i ricercatori. L’ antropologo Grover Krantz  infatti sosteneva che per dimostrare che l’uomo-scimmia  esisteva bisognava ucciderlo  a colpi di fucile e analizzarne il cadavere. Praticamente diceva che questi esseri erano scimmie, quindi animali, e potevano essere abbattuti. Un’affermazione che faceva inorridire gli antropologi russi secondo i quali ammazzare un uomo selvatico significava uccidere uno come noi, quindi era un omicidio.>

E forse andrebbe anche riconsiderata la teoria evoluzionistica dei darwiniani…

< Questo non credo, perchè in realtà oggi noi sappiamo già che l’evoluzione umana non è stata lineare. Un tempo si pensava che dopo l’homo erectus fosse arrivato l’uomo di Neanderthal e poi noi. Ora sappiamo invece  che l’evoluzione umana ha proceduto anche per vicoli ciechi, derivazioni senza sbocco, stop evolutivi. Queste ipotetiche creature sarebbero un ramo collaterale, dei sopravvissuti- come in natura esistono già. Non  sarebbe insomma un’eventualità così incredibile. Ammesso che esistano, ovviamente. E questo è ancora tutto da dimostrare…>

Si torna così al punto di partenza. Orme, testimonianze, foto e filmati non sono discriminanti: la falsificazione è dietro l’angolo. E per ora, nessuno è tornato da una spedizione tra la giugla indonesiana o da un’escursione tra le foreste del Canada con un bel ciuffo di peli di uomo-scimmia da analizzare al microscopio. Senza il Dna, ormai, non si va da nessuna parte…

E allora, come porsi di fronte al dilemma: il Bigfoot esiste o è solo un mito? Il nostro criptozoologo ci indica una strada.

< Dobbiamo ammettere che non esistono prove, attualmente, sull’esistenza di simili creature. Ma allo stesso tempo non bisogna smettere di cercare. E chi lo fa, deve mantenere una mentalità aperta senza però eccedere nell’ingenuità. Insomma, il ricercatore che si vuole impegnare in questo campo deve seguire un metodo rigoroso e poi permettere agli scienziati di esaminare le prove che dovesse trovare o raccogliere. Ma anche gli uomini di scienza devono avere una mente aperta di fronte alle scoperte. perché lo scopo della scienza è scoprire la verità, non far prelevare le proprie idee a discapito del sapere e del progresso umano.>

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